Secondo Laborit l’inibizione dell’azione è causa di malattie psicosomatiche evidenziabili anche in disturbi emozionali.
Lo studioso esprime il suo pensiero attraverso l’antitesi tra azione e inibizione.
L’uomo è propenso all’azione, così come l’animale, espressione di primordiali istinti di gratificazione, ricerca del piacere, l’attacco e fuga, per preservare la propria vita.
Ognuna di queste azioni è descrivibile in circuiti neuronali corticali e subcorticali di collegamento, dal sistema limbico all’ipotalamo che funge da coordinatore tra funzioni viscerali, ormonali e motorie. Il SIA, sistema di inibizione all’azione, è l’espressione di un sistema vitale quando l’azione non è necessaria, se non addirittura pericolosa o improduttiva.
Ad esempio quando il nemico è più forte o l’azione potrebbe mettere a rischio la vita. Ma l’inibizione deve avere vita breve.
La durata deve servire solo per riorganizzare una nuova azione. Laborit4 evidenzia in una ricerca, come il prolungato protrarsi dell’inibizione, su animali costretti all’immobilità, a seguito di situazioni di stress procurato, sia causa di comportamento disorganizzato quali angoscia, mancanza di coordinazione, diarrea, aumento della tensione arteriosa ecc…
Sintomatologia non evidenziata in animali sottoposti alle stesse condizioni stressogene, ma liberi di muoversi.
La malattia psicosomatica è tipicamente umana.
Gli animali hanno sicuramente una libertà di movimento, che l’uomo nella sua evoluzione ha visto meno.
Contornatosi di strutture architettoniche, con vie strette e camere chiuse, l’utilizzo di veicoli per gli spostamenti, tali da impedirgli l’azione in spazi aperti, come il suo patrimonio genetico immutato richiede.
Le esigenze dettate dalla civilizzazione e dal contesto sociale, impediscono l’espressione verbale della frustrazione a seguito di situazioni limite.
L’educazione imposta sia all’interno che all’esterno dell’ambito familiare, frena il normale sfogo attraverso il pianto, le grida e il movimento fisico.
Comprimendo in tal modo le emozioni attraverso l’inibizione dell’azione, come richiesto dal comportamento sociale, che impone di nascondere in pubblico le proprie emozioni.
Così a un bambino si dice di non piangere, di non rispondere a un genitore.
Ad un adulto di non rispondere a un superiore. Il ruolo detiene il predominio sull’espressione naturale dello sfogo.
Oltre a questo, la postura abituale odierna, è costretta a posizioni innaturali per ore, dovuta a esigenze lavorative o di studio, o costretti a movimenti continui e ripetitivi.
Questa inattività si protrae anche a fine serata tra le mura domestiche.
Vinti dalla stanchezza preferiamo il comodo divano in compagnia di una serie tv, piuttosto che una sana passeggiata a contatto con gli spazi verdi rimasti nelle città.
Richiamando nuovamente agli studi condotti da Laborit, si arriva a comprendere come la prolungata inibizione dell’azione determini ulteriore stress, o meglio venga rafforzata dagli ormoni.
Adrenalina in caso di azione, noradrenalina e corticosteroidi a seguito di un’inibizione dell’azione prolungata, i quali effettuano un rinforzo, a livello dei centri subcorticali del sistema limbico, dell’inibizione dell’azione, impedendo a un normale ritorno di equilibrio fisiologico.
L’incapacità di protendere all’azione, porta a una continua oscillazione tra il fare e non fare, decidere e non decidere, di muovere un primo passo e il continuo arrovellarsi su cosa fare.
Nel momento in cui non si protende all’azione, scaturisce il biasimo per sé stessi, per l’occasione persa, che decreta via via una modalità statica che impedisce il movimento e non solo.
Questo comportamento favorisce ulteriore stress e secrezione di noradrenalina e glucocorticoidi che portano a malattie, riducendo la capacità del sistema immunitario.
È fondamentale sottolineare, che il corpo umano funziona come un network di sistemi interconnessi, che si influenzano a vicenda e vengono a loro volta influenzati dalla psiche.
Proprio per questo la cura deve comprendere ogni settore in modo tale da modularne le connessioni.
Ogni patologia che interessa un determinato sistema, non è settoriale, ma va a inficiare e ad indebolire altri sistemi.
Nel caso specifico del cancro, prendo in prestito un esempio del dott. Francesco Bottaccioli, che mostrando due foto di un fiore, una del particolare, una dell’intero, evidenzia come il particolare è importante per comprenderne e osservarne la struttura della composizione.
Ma se ci soffermiamo solo su quella, ci perdiamo la bellezza dell’intero fiore.
Allo stesso modo è necessario lo studio e la visione della cellula cancerogena per determinare la natura del tumore, e la cura appropriata, è pur vero che quella cellula fa parte di un intero: l’uomo.
A tal fine dobbiamo prenderci cura di tutto l’essere umano, in ogni suo aspetto, sostenendo ogni sua parte per combattere la malattia.
Basandosi su un rigoroso esame di evidenze si descrive come il network dell’organismo possa essere modulato grazie all’alimentazione, all’attività fisica, comportamentale, alla medicina naturale.
Ossia l’integrazione di varie discipline che, a livello terapeutico e preventivo, possano essere di supporto alla medicina classica curativa, dedicandosi all’essere umano nella sua totalità, come corpo, mente, ambiente, società, emozioni ecc…
Tutto ciò è parte integrante dell’uomo, della sua storia, del suo vissuto, del suo adattamento, delle sue risposte alle cure, non solo sintomo e malattia circoscritta ad un’area.
Vi è qualcosa di più profondo, causato probabilmente da un insieme di fattori determinati da eventi traumatici, inquinanti, o stressanti.
Questi mettono in allarme e sofferenza il sistema psichico, immunitario, endocrino, circolatorio, pressorio, e via dicendo.
Tutto ciò evidenzia come le medicine integrate possano essere di reale supporto nella depressione, disturbi d’ansia, schizofrenia, autismo, patologie immunitarie, cancro ecc.
Lucia Licheri
A.G.Bottaccioli e F.Bottaccioli,
Psiconeuro endocrino immunologia e scienza della cura integrata il manuale
Edra, Milano,2018(1ed.2017).